SEZIONE POESIA ADULTI
Franco Fiorini
Opera 2^ classificata
Rimanda la memoria
Della mia terra un pugno ho sollevato
calda ancora e fumante come allora
(presto arresa al vomere lucente
d’argilla aperto il cuore a semi d’oro).
Di mattini racconta di rugiade
di soli a picco su campi di sudore
del canto della pioggia sulle zolle
e dei tramonti accesi alle colline.
Dolce mi porta il gusto di vitalba
rubato piano a siepi di germogli
e l’agrodolce impaziente delle more
fatte inchiostro su labbra di fanciulli.
Mi canta di corse all’ultimo respiro
a sfiorare i papaveri e le spighe
a violare dune rosse di ciliegi
e planare a mari verdi di trifogli.
Mi dice di sortite clandestine al “fosso” (1)
a scoprire granchi dolci (2) sotto i sassi
a liberare tuffi arditi alle “parate” (3)
con l’incoscienza dell’età bambina.
Rimanda la memoria – padre – ai tuoi ritorni
specchiati dentro agli occhi dell’attesa
sulla soglia il mondo da abbracciare
nelle tue mani le mie da scaldare.
Di quella terra un pugno m‘è restato
mi parla di un passato ormai lontano
ma non chiede il mio presente nostalgia
è il frutto pieno della terra mia.
1 – Così chiamavamo il nostro ruscello.
2 – Di acqua dolce
3 – Piccole dighe naturali a volte anche pericolosamente profonde.
Adriana Scarpa
Opera 3^ classificata
La dimensione ritrovata
(a Venezia)
Non più crocchi sulla riva
a raccontarsi con parlar musicale
e lo sciacquio sommesso dell’onda
a far da sottofondo.
La gente, le pietre
non mi riconoscono
troppi anni lontana, io,
foglia oggi senza ramo.
Mi si addolcisce lo sguardo
nel catturare barbagli di luce
su vetri smaltati e cupole:
tutto questo
ho lasciato nel mio nido di alghe
tutto questo
e i primi sussulti del cuore,
i rossori che nella foschia
si facevano ambra.
Si smaglia la rete del ricordo
ed entro a piedi scalzi
nella dimensione ritrovata
dove non cessa mai
la berceuse dolcissima
che mi cullò bambina.
Ora posso aprire lo scrigno segreto.
Ora una brezza di mare mi sospinge
– alagabbiana – e traccio grafie
che io soltanto comprendo
sul vetrofuso della laguna: la firma,
il sigillo della mia appartenenza
a questo clangore di squame di seta,
di vene smeraldo dentro cui
– corpounico –
faccio naufragio e smemoro.
Antonio Capriotti
Opera 4^ classificata
Migrazioni
Passano uccelli sopra il mare, migrano
uniti in voli accorti, acuti e perentori
cunei sospesi al vento freddo che li spinge
lontano, verso il Sud, verso esili placidi
di sole: recano innato, immutabile
ciascuno tra le piume il sogno chiaro, veritiero
di pianure altrove; di sicure, aperte e felici
terre germinali. Trasvolano leggeri
e incrociano là sotto incerte nell’andare
barche grevi, trepide arche pullulanti
di sogni disperati lungo rotte lunatiche
e aberranti: corse tormentose, arrancanti
a fatica verso il Nord, verso ignote
lassù, forse impossibili – chiuse o gelide –
dimore.
Vanno così – all’incontrario –
uccelli e uomini su e giù per il pianeta: linee
che s’incontrano un istante
e s’allontanano – nel vuoto sopra le acque
sguardi umani assorti, interroganti
e imperturbabili silenzi d’ali.
Davide Corvi
Opera 5^ classificata
Il prigioniero
I giorni in cui il pendolo dondola tetro
e libera in aria rintocchi di vetro
clessidre rovesciano in luce celeste
la sabbia di sonno che il mondo riveste
Rinchiuso in pareti di ossa e di pelle
da quando mi tolsero l’aria e le stelle
mi dedico a giochi di sopravvivenza
e sciolgo nel Nulla l’oscura violenza
Coltivo la notte su lenti pianeti
anemoni azzurri in giardini segreti
non sanno percorrere questi sentieri
i deboli passi dei miei carcerieri
Accosto parole su fogli dispersi
e muovo persone su mille universi
il vostro potere di legge e di spade
è solo un granello di quello che accade
Dal centro del mondo la mente conduce
in questa mia cella di polvere e luce
l’impero infinito di suoni e colori
levate il cappello, io vinco, signori!
Umberto Vicaretti
Opera 6^ classificata
Non so se adesso il giorno abbia memorie
Non so se adesso il giorno abbia memorie
né se la notte porti altre chimere
(fiori di loto e lune tramontate
calarono sipari d’ombre e fumo
muri alzarono contro l’orizzonte).
Non hanno sogni i vecchi né più fuochi
non rammentano voli e più non sanno
se fu il verde dei monti o il blu del mare
a sciogliere i tramonti in fondo agli occhi
se furono le allodole o i gabbiani
a volare sul filo delle aurore
(e le mani che strinsero tremanti
ragazze dalle labbra d’albicocca
le levigò la gomena agli approdi
oppure il grano a l’uva delle vigne?).
Fu lungo il giorno dura la fatica
quanti rosai si arresero agli autunni
quanti sorrisi consumò il dolore.
Ora è già sera e i vecchi il passo incerto
risalgono la china delle stelle
e annotano le rotte della luna.
E noi che non sappiamo più volare
noi che perduto abbiamo tenerezze
assenti e indifferenti li lasciamo
randagi e soli ai margini del cuore.
Ma i vecchi hanno alla fonda barche azzurre
e tessono segretamente vele
da issare al vento verso un’altra riva.
Carolina Marini
Opera 7^ classificata
Ortles
Valle di verde invadente, la tua erba
suadente e tesa, umida di notte e stesa
sotto la mia pelle nuda, raccolta in nicchia di corpo che succhia vita in un cucchiaio di vento.
Nell’amalgama si distingue il mio profilo
tratteggiato da un impercettibile orizzonte di brivido.
Ascolto dita di vento pettinarmi i lunghi capelli attorcigliati
tra secchi e pungenti aghi di pino
croccanti pigne avvolte in intricati nodi di ciocche.
Come sfuggente carezza, sfiorata in soffici nocche
giungi inconsapevole a svelare un lembo scordato di sorriso
innocente, tu tradisci ricordi richiusi in voci spezzate.
D’improvviso, sorseggiato in un sospiro
in un profumo di dolcezza mi lascio intorpidire
che mi sorprende, come lenzuolo premurosamente sospinto
ad intiepidire i più freschi respiri notturni.
Sonno di sogni sollevato dall’alba
mi lasci in questo pianeta incapace
ad afferrare in un unico pugno il tempo e la pace.
Discosto il lenzuolo al richiamo di un tuono inusuale
scivolano le mie cosce imbrunite dal sole
forza muta che urli il mio nome
lontano, possente, sempre più presente
deflagrante, maestoso, già troppo attraente
mi alzo e ti seguo diritta e cosciente, nell’incalzare naturale di un altro fendente.
Pugno di roccia venata, da graffi di luce diluiti nell’acqua
fondi all’istante di ogni germe di pensiero la genesi
in quell’assoluto vuoto di presente che esige già ogni attenzione.
Tu, che strappi quello che vuoi, dal mio cuore ogni sua emozione.
L’iride d’azzurro si dilata a dismisura
cielo che fai spazio all’incalzare lento di questa terra così matura
la tua corona di cristallo congela ogni altro spazio ed esige quel silenzio di sua natura
chiamandomi dinanzi, sua nuova creatura.
Marco Righetti
Opera 8^ classificata
I fasti dell’ora
Bifore scolpite d’azzurro
aprono la pietra immemore
per accogliere monodie lunari,
scendono a gocce
lucciole di stelle
s’accende l’abbazia
di segrete visioni.
Il chiostro s’arresta
davanti alle navate in fuga
camminano
tra i passi dei secoli
salmodie in processione,
è nella sala capitolare
tra le vertiginose campate
inarcate a fermare il mistero,
le pagine dell’antifonario
sfogliavano scale di neumi
quando lingue di lode
liberarono in forma d’armonia
rami nidi di pace
polifonie nude più del silenzio.
Le ore s’accalcano intorno,
tacciono i cantori spogliati del tempo.
Giovanni Bottaro
Opera 9^ classificata
Per voce solista (Homo homini lupus)
Ore di rugiada: tristezza nel grigio dell’attesa.
Stelle impercettibili
attardano urti mattinali.
Cenerini fumigano comignoli.
Oltre un’inferriata presenze indefinite.
Fuggevole stropicciare tra foglie corrotte:
noi, genuflessi alle nuvole.
Luce rinforzata: raggi crivellano il cielo.
Strada deserta ossuta
Lenta la piazza palesa
l’avorio picchiettato dei platani.
Tra tronchi chiazze di mercato:
grovigli su inganni a prezzo basso.
Gocce su piccioli. Acquerugiola dolce su gerani.
Sugli embrici attraccano ali arcobaleno
come barche a vela verso un molo.
Scoppi piumati al rintocco di campane.
Solo, corro incontro al giorno breve.
Evaporano le tende colorate.
Restano quattro scatole ammaccate
e poca carta straccia ammonticchiata.
Serale la mesta
voce solista dell’uomo col sassofono.
Attendo del suo cane
- piccolo e bastardo – il guaito consueto.
Tramonto col mio Lume – il Sole è sbadato –
sempre più filiforme e assottigliato.
A Pisa, 11 febbraio 2003
Alessandra Romano
Opera 10^ classificata
Mont-Martre
Variopinti tratti d’arancio e lilla
danzano su tele sgargianti
a catturare macchie di sogni
e pieghe nascoste di vaghi ricordi.
Su pennelli intrisi d’indaco
e giallo laccato si muovono storie
d’amanti perduti ed artisti spiantati.
Passioni intrecciate tra i glicini in fiore,
avvinte su gradini di pietra riarsi dal sole
ed ombre improvvise a giocare
su finestre di cielo in tempesta.
Baci rubati tra vicoli profumati
di miele e ginestre, sospiri d’archi
vibranti i brividi sottopelle a colorare
di note pervinca abbracci di corpi
e anime ritorte.
Riposano stanchi sorrisi su gradini che
portano al cielo: volti segnati da libertà
faticosa custodita dentro rughe di notti
annegate in ambrato cognac, perse in
spirali di fumo denso, avvolgente.
Mont-Martre rivive sussurri in soffitte di
polvere e lancette ferme in un’ora leggiadra
di nude modelle e pittori di sacro e profano,
finché un vento ribelle, fresco nel maggio
incipiente, disperde l’odore di amori
selvaggi, che restano lì, muti e assordanti,
impregnati su tele di nulla…
Francesco Di Ruggiero
Premio Augusto Robiati
Ricordi naufraghi
Guscio amaro
la solitudine.
Nella mente
danzando
paura e fuga
si inseguono.
Attimi di fuoco.
Storia divisa
emozioni bruciate
abbraccio di lacrime.
Il sogno si infrange
dietro cristalli di realtà.
Illusioni lacerano
curve di pensiero.
Lentamente
svaniscono.
Coriandoli del tempo
i giorni migrano
in orizzonti percettibili.
Cuore in ascolto
parole raccolte
ricordi naufraghi,
sorriso di intesa.
Il desiderio nasce
albeggia la speranza.
SEZIONE POESIA GIOVANI
Aura Piccioni
Opera 1^ classificata
Leva obbligatoria di una “guerra per la pace”
Vent’anni o poco più.
Negli occhi il sogno di una vita migliore,
di speranze inconsistenti nell’animo il tenue bagliore…
- Due anni nell’esercito Tsahal – gridano agli ufficiali.
Gli occhi fissi su un’uniforme ormai dimenticata.
- Addio – pensa – sono rimasta troppo a lungo arruolata.
Notti in tenda trascorse sotto un cielo in cui le stelle
parevano schernire il mio destino.
Esercito di pace, ci hanno detto.
Ma dov’era la pace? Si perde la pace, si perde la libertà...
I miei occhi anelavano un sorriso
di speranza intriso; eppure solo mani alle tempie,
come saluto, e parole vane, di rispetto gravoso.
In testa, i capelli sudati si ribellavano
sotto l’impeto fiero di un berretto di colore nero…
Elena Lipari
Opera 2^ classificata
Nostalgia
Nostalgia
Di amare speranze
Consumate, mai sbocciate e
morte,
troppo presto scomparse.
Quando sulla pagina gialla e malaticcia del mio diario
immaginavo per me vittorie dai mille colori e
nuovi sipari d’un velluto accecante,
impregnati dall’odore di copioni ormai vecchi,
di parole ormai stanche,
di labbra più secche.
E ritrovavo me stessa
custodendo gelosamente un’emozione
ancora calda, avvolta da quei tasti di pianoforte
quando la voce graffiava
e graffiava lontano con gli oggetti della stanza per
posarsi là... fra quelle mie mani
ancora umide, fazzoletti di occhi troppo
lascivi
colorando di rosso tutti i miei no,
i no alla vita
le mancate gioie
segrete scatole mai aperte e ammucchiate fra il silenzio della stanza.
Quando strozzati i dolci sogni d’un avvenire di seta si
perdevano
fra le dita come granelli di polvere, bruciati dal sole
granelli d’un nulla,
di quel nulla ch‘è la vita.
Cassandra Venturini
Opera 3^ classificata
Il quinto elemento
Con mani sporche d’argilla,
mia madre, si ritrovò me fra le braccia.
Come un Dio mi plasmò,
e sua fu l’immagine e somiglianza.
Nel buio dell’universo,
lampi di stelle afferrati a fatica,
per tessere una ragnatela di luce,
il primo tracciato della mia vita.
Elementi,
l’esistenza è l’insieme
dei cinque primari elementi.
Fuoco, rosso ardente come il sangue,
scorre e pulsa frenetico, veloce, caldo.
Acqua, liquido amniotico,
vita, sprazzi di stelle scendono amari dagli occhi,
luce acquatica si insinua antica nella memoria.
Terra, corpo e creta, cenere alla cenere,
polvere, come tanti puntini dispersi nel tempo,
nelle epoche remote,
uomini e donne con storie di creta.
Aria è respiro vitale, ossigeno del mondo,
profumo silente, sogno eterico disperso nel cielo,
negli spazi sconfinati,
fino a sfiorare il quinto elemento.
Rosso fuoco, acqua limpida,
terra nera, aria azzurra,
i quattro primordi connessi tra loro da un solo,
sinergico elemento, misterioso e forte,
il più vitale ed umano di tutti,
eppure così infinitamente divino e sublime,
da congiungersi all’eterno:
l’anima.
Diego Stefanelli
Opera 4^ classificata
Pascola il gregge rosa degli uomini dalle unghie nere…
Pascola il gregge rosa degli uomini dalle unghie nere
sul gigante specchio che non ha polvere
e che non ha rocce o colline o monti,
solo lontano qualcuno una cima scorge
bianchissima
e nuda sotto i nuvoli che la avvolgono:
è la dimora del Pastore.
Nessuno del gregge rosa lo ha mai veduto
perché Lui vive sulla cima altissima della montagna
e nessun occhio di uomo è potente abbastanza.
(forse il Pastore non esiste)
ma il gregge degli uomini dalle unghie nere
continua a pascolare sul grande specchio
e ognuno aspetta il Pastore,
aspetta che Lui scenda dalla sua alta Dimora
e su una nuvola verde come la foglia di un fiore
saluti il suo gregge numeroso
e lo salvi dal grande Disordine.
Però molti sono stanchi di aspettare,
sono stanchi del branco dove nacquero
in cui facce e sederi si toccano
schifosamente
e umani si ammassano l’uno sull’altro
come bucce di banane in bidone.
E la stanchezza diventa ira
poi odio poi silenzio
poiché ogni volta che un umano si guarda
nel gigante specchio senza polvere
vede solo sé stesso
e nessun altro… e nessun altro
e nasce la voglia di staccarsi
di spezzare il filo del gregge
di essere Uno e soltanto…
Ma è impossibile ripudiare
il Gregge del Pastore
Marina Mastrangelo
Opera 5^ classificata
Le chimere del mio spirito
Non chiederai permesso,
non ascolterai le urla inquiete della mia volontà,
non sentirai il mio fiato ancora gremito di vita,
e varcherai quella porta, che più volte ho tentato di blindare, demolendo le fragili mura del mio cuore,
ed entrerai senza bussare,
senza chiedere permesso,
per soffiare via le vane pagine del mio destino
dove da tempo credevo di scrivere, con inchiostro indelebile,
le parole della mia vita.
Solo cenere e polvere
rimarrà del mio vissuto
trascorso a sconfiggere le insidie del tempo,
a combattere contro le spade dei miei fantasmi interiori
e a negare, sul cuore della vita, la crudele morte.
Tempo, che cerchi di frenare
le furie del mio sangue,
di placare l’esile fiamma del mio cuore ,
di spegnere la mia voglia di vivere,
respirerò ancora
e le illusioni saranno il mio fiato,
l’amore i miei polmoni
e i sogni la mia volontà.
Non tremeranno le mie gambe,
non vacillerà il mio cuore,
perché continuerò a guardare,
tra i miei sogni,
il sole che ogni dì s’alza all’orizzonte
e il mio animo sospirerà ancora
perché continuerà a vivere
con le Chimere del mio Spirito.
Angelo Scotto
Opera 6^ classificata
Soccorso di amianto
Avevo il sole e gennaio negli occhi
Amavo le strade e le voci ancor più,
le voci di seta che sorgendo dai prati
diventavano vento, mi erano muse.
Poi vennero i grigi e le nubi di aprile
E nessuna più luce per farsi accecare:
strade ormai fere, prati in letargo,
ed io senza forze a consumarmi in attesa.
Così mi trovasti
E fu impietosa pietà
Che ti spinse ad offrirmi
Un soccorso di amianto,
là dove il dio sole
è uno schiavo di neon
e gli unici prati
sono steli di marmo.
E adesso che gli astri riportano Giano
E la terra riapre i prati alle brezze
La strada è un amica che dice «ritorna»
E una brama di voci mi scorre nel sangue.
Ma il mio corpo, ghiacciato, si nega,
né ho l’ardore per scuoterlo ancora:
potrei di nuovo adagiarmi nel vento
ma il sole non lo so più guardare,
il sole non lo so più guardare.
Ilaria Pannetta
Opera 7^ classificata
Nome al tempo
Se potessi dare un nome al tempo che passa…
limpida poi sarebbe la mia mente,
sprovvista di ricerche senza risultato
che hanno l’antico scopo del trovare un senso,
un senso al ragionamento che ti ha portato a quella scelta,
un senso all’istinto che ti ha sopraffatto…
Un nome ad ogni piccolo tempo,
per farne riaffiorare uno se ho bisogno,
per conservare nell’angolo quello che ho odiato,
per non lasciare che tutto accada
senza essere preso in seria considerazione.
Per non fare evaporare quei momenti
da stringere forte con tutta me stessa,
per cogliere quegli attimi che altrimenti mi sfuggirebbero,
per assaporare il profumo di ogni persona che incontro,
per imparare il significato di ogni parola che sento.
Per poter dire, tra mille anni,
che il mio tempo l’ho vissuto e ne ho conservato l’essenza,
riponendola con cura e ordine,
come un anziano signore
che mostra al nipote il suo vecchio album di fotografie,
e mentre racconta le immagini,
le rivive, viaggiando… dentro di sé...
Francesco Stefano Bottaro
Opera 8^ classificata
Per rattristato attimo
“Let me forget about today until tomorrow…”
Vacillo sul filo d’orizzonte
Come rondine stanca di migrare…
È corsa via la primavera dolce,
il tenero fantasma che inseguivo,
non lo intravedo più, se non lontano.
Mi vince l’afa ai limiti d’un prato,
raggi arroganti di sole
percuotono i grappoli d’ortiche,
stremano l’erba
asciutta dal calore.
Una lacrima irrora la mia guancia…
Si placa,
tace,
il tintinnio del tempo.
Voglio che evapori anche questa goccia…
Attendo, con occhi rinverditi,
il magico eclissarsi del tramonto,
il tenebroso mescersi di ombre.
Pisa, 11 maggio 2003
Benedetta Longagnani
Opera 9^ classificata
Campagna intristita
È un lieve, lievissimo refolo
Sparso, sparito ancor prima
D’un batter di ciglia
Volte ai nembi di stracci
E sapone consunto
Di scaglie, più del profumo
Che al bucato sui fili del vento
Corre e disegna
Trecce di tempera chiara.
Cinguettan sopiti ospiti grevi
Di cinerea piuma
Ad apparir d’un tratto sol’anima
E or planano con l’ali gabbiane.
S’allungan così,
timide de i suoi sonnecchiar,
le tarde serate di nuovo stellate,
di nuovo signore indelebili
ch’ognun, inerme, non spera più riveder.
Sergio De Gasperis
Opera 10^ classificata
Josè lascia la fabbrica
Rumore metallico,
di sapore d’addio.
Viti ettagonali rimbalzano,
frantumandosi nell’olio.
Occhiali triangolari si scontrano,
con occhiate quadrate.
La sabbia per terra annaspa,
e sputa,
e cade,
finalmente cade.
Ammutinamento,
questa è la parola giusta.
Ammutinamento,
questa è la parola giusta,
disse Josè mentre,
disteso nei meandri di sangue del suo padrone,
continuava imperterrito a sfogliare senza capire nulla,
L’Isola del Tesoro, di Stevenson.